Identificate le regioni cerebrali coinvolte nell’effetto placebo

Il corpo è noto essere una macchina perfetta oltreché piuttosto complessa; a tal punto che molti suoi meccanismi sono ancora ben lungi dall’essere pienamente compresi. Gli aspetti più affascinanti riguardano indubbiamente le sue innate capacità rigenerative e di guarigione. Queste capacità sono talmente importanti che qualunque nuovo farmaco deve essere testato contro di esse. Nella pratica, negli essere umani, queste capacità vengono attivate ricorrendo al placebo, termine che abbraccia qualunque sostanza nota per non avere nessun effetto terapeutico sulla malattia o disturbo che viene analizzato. Negli studi clinici, infatti, i soggetti che possono beneficiare di un nuovo farmaco per trattare una qualche loro condizione vengono suddivisi in due gruppi: uno assume il farmaco in esame e l’altro il placebo. Nessuno dei pazienti nei due gruppi (e spesso anche i medici che li seguono) conosce il quale gruppo al quale appartiene. Di fatto, l’atto stesso di assumere qualcosa genera nel paziente l’aspettativa di un miglioramento di un qualche sintomo associato alla condizione o addirittura della guarigione della condizione. Ai più potrà sembrare strano, ma a volte questa aspettativa, che viene indicata con risposta al placebo, o semplicemente effetto placebo, supera perfino gli effetti del farmaco studiato.


L’effetto placebo è stato considerato controverso. Infatti, una riduzione simile dei sintomi può essere prodotta dalla malattia stessa o dal fatto che i pazienti tendono a guarire nel tempo. Tuttavia, oggi la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che l’effetto placebo è reale. Il sollievo dal dolore indotto da placebo è l’esempio più studiato e solido di questo effetto. Esso, come per tutti gli altri casi, viene prodotto dall’aspettativa di un sollievo dal dolore. Nel corso del tempo si è scoperto che alcuni farmaci, come il naloxone (noto anche come Narcan), che agiscono inibendo i recettori degli oppioidi possono bloccare molte forme di analgesia da placebo. Questo non solo ha confermato una origine fisiologica per il placebo, ma ha suggerito il possibile ruolo di peptidi oppioidi prodotti dall’organismo stesso, come le β-endorfine e le encefaline.


La maggior parte degli studi condotti sugli esseri umani per comprendere questo fenomeno ha finora utilizzato le tecniche di imaging cerebrale, tuttavia queste non raggiungono la risoluzione di metodi più avanzati e moderni che sono in grado di tracciare l’attività neuronale nei topi. Queste tecniche però non sono mai state applicate per studiare l’analgesia da placebo, anche perché è piuttosto complicato immaginare come condizionare i topi con l’aspettativa di un sollievo da dolore, visto che questi non comprendono il linguaggio verbale. Chen e colleghi dell’UNC Neuroscience Center, presso l’Università della Carolina del Nord, negli Stati Uniti, sono riusciti finalmente a sviluppare un apparato sperimentale in grado di dare una aspettativa di sollievo dal dolore ai topi, e quindi ad applicare le tecniche genetiche più avanzate disponibili per tracciare l’attività nei loro neuroni. I risultati di questo studio sono stati pubblicati di recente su Nature.

Tramite una tecnica genetica chiamata TRAP, i ricercatori hanno individuato l’espressione del gene Fos che si attiva quando i neuroni sono attivi. Questo ha permesso loro di identificare tre aree cerebrali possibilmente coinvolte nell’effetto placebo: lo striato, i nuclei talamici e subtalamici, e, in modo inaspettato, alcune strutture nel tronco encefalico chiamate nuclei pontini (Pn). Inoltre, usando il sequenziamento dell’RNA a singola cellula, hanno osservato che i neuroni Pn eccitati esprimevano il gene che codifica i recettori δ degli oppioidi, supportando quindi l’idea di base che l’analgesia da placebo sia mediata dai peptidi oppioidi.
Nonostante l’effetto placebo sia decisamente più complesso negli esseri umani, poiché coinvolge istruzioni verbali, influenze sociali e condizionamento, questa scoperta può portare a una revisione della comprensione attuale del modo in cui il cervello elabora il dolore. Comprendere meglio il funzionamento alla base del meccanismo dell’effetto placebo e del suo contrario, detto nocebo, può essere importante per migliorare il trattamento delle malattie.

Riferimento:

Chen, Chong, Jesse K. Niehaus, Fatih Dinc, Karen L. Huang, Alexander L. Barnette, Adrien Tassou, S. Andrew Shuster et al. “Neural circuit basis of placebo pain relief.” Nature (2024): 1-9. DOI: 10.1038/s41586-024-07816-z